di Dario Ortolano Segretario Federazione PCI Torino
La rivolta del pane a Torino, agosto 1917
Quando si affrontano rilevanti temi politici, economici e sociali, soprattutto di carattere storico, ma anche attuali, c’è il rischio permanente di incorrere in una visione, generalmente unilaterale, dal punto di vista di genere, sottolineando il ruolo degli uomini e trascurando, o peggio dimenticando, il ruolo delle donne, negli argomenti trattati e nei fatti descritti. I comunisti non vogliono incorrere in tale grave errore, figlio di una concezione del mondo e della storia dell’umanità che noi contrastiamo. Perciò, nel quadro della descrizione degli avvenimenti e dei fatti storici, che portarono alla fondazione del PCI, vogliamo dedicare al ruolo delle donne, esercitato in tale prospettiva, l’adeguato spazio. Come abbiamo visto precedentemente, fu la prima guerra mondiale imperialista, la fucina che fece maturare una intensa lotta politica e sociale, di classe, che avrebbe grandemente contribuito alla ridefinizione della direzione politica del movimento operaio e popolare, determinando processi socioeconomici ed atteggiamenti ideali, che influenzeranno, in modo decisivo, l’atteggiamento delle masse popolari, verso di essa. Innanzitutto, il crescere impetuoso, per effetto della produzione bellica e dello sviluppo industriale del Paese, del proletariato urbano, concentrato nelle grandi città del Nord, e sottoposto ad una grande tensione, per le dure condizioni di lavoro e di vita, lo renderà particolarmente sensibile alla propaganda ed alla iniziativa politica del movimento socialista. Inoltre, le masse popolari italiane, non avevano mai voluto la guerra ed erano state pervase, fin dalla sua esplosione, da un atteggiamento di rifiuto, inizialmente passivo, che, tuttavia, diverrà, col crescere del disagio economico e sociale, da essa provocato, sempre più attivo, caratterizzato da aperta protesta sociale, che si manifesterà sempre più intensamente.
Il caso più significativo di tale atteggiamento, è quello che vide, come luogo d’azione, la città di Torino, con l’esplosione, nel mese di agosto del 1917, di una vera e propria sommossa popolare, che sfocerà nella proclamazione dello sciopero generale, contro la guerra, i ” pescecani ” profittatori di guerra, e la fame, provocata nel popolo, addirittura dalla mancanza del pane. Da mesi, nella realtà torinese, operavano dirigenti espressi direttamente dalla classe operaia, come Giovanni Boero, Francesco Barberis, Luigi Gilodi, Pietro Rabezzana, Maria Giudice ed Elvira Zocca, propagandisti semplici ed efficaci, che andavano diffondendo l’idea della possibilità, oltreché della necessità, di passare alla lotta contro la guerra. L’ occasione viene data, dal fatto che, il 21 agosto 1917, le scorte di farina sono esaurite ed, il giorno dopo, quasi tutte le panetterie della città, sono senza pane. È la scintilla che fa scattare la rivolta. Le donne sono le prime a lanciare l’allarme e ad accorrere davanti alle fabbriche, per dare la notizia agli operai. Il 22 agosto, gli operai non riprendono il lavoro in due grandi stabilimenti, le officine Diatto-Frejus e la Proiettili Arsenale di via Caserta, immediatamente seguiti dalle operaie del Fabbricone di Borgo Dora. In poche ore, sono fermi tutti i grandi stabilimenti della città, a partire dai 2000 operai delle officine ferroviarie, di Borgo San Paolo. Una immensa folla di lavoratori e lavoratrici, si mette in marcia verso la Camera del Lavoro, di Corso Siccardi che, ben presto, si riempe di capannelli di operai ed operaie, che discutono in modo molto animato. Si svolge un’ assemblea improvvisata, nel salone della Camera del Lavoro e poi, il Segretario della Camera del Lavoro, Zaverio D’ Alberto, si reca al vicino commissariato di pubblica sicurezza, per chiedere l’autorizzazione di parlare ai lavoratori ed alle lavoratrici che si affollano, sempre più numerosi, davanti alla Camera del Lavoro. Verrà arrestato ” per misura preventiva “, non appena uscito dal palazzo. Intanto, altri sindacalisti, dicono agli operai di andarsene, che vi saranno, successivamente, informazioni e direttive, relative alla situazione. Nel pomeriggio del 22, alcune squadre di operaie e di massaie, si formano, nei rioni operai, e vanno, in corteo, al Municipio, per chiedere spiegazioni al Sindaco, il barone Usseglio, che le riceve. Qui, da una lussuosa auto, proveniente da via Milano, costretta a rallentare, dagli assembramenti dei manifestanti, parte la seguente frase: ” Tante storie per il pane…ma si mangino biscotti !!! “. Indicazione che i presenti, mettono subito in pratica, nelle pasticcerie circostanti. Alla sera, in numerosi stabilimenti, le squadre notturne di lavoro, non entrano, mentre, nel pomeriggio, viene bloccato il tram della linea di Orbassano, contenente un cospicuo carico di zucchero e di pane. Le manifestazioni popolari, iniziano ad avere un carattere sempre più vivace, particolarmente in via Garibaldi ed in via Cernaia. Carabinieri e poliziotti cominciano a sparare ed una prima barricata viene eretta in via Bertola.
Dal primo pomeriggio del 23 agosto, i poteri pubblici passano all’esercito ed i quartieri di Borgo San Paolo, Barriera di Nizza e Barriera di Milano, sono i luoghi in cui si svolgono gli scontri più aspri, fra i manifestanti e le forze della repressione statale. Sorgono barricate all’incrocio tra Corso Vercelli e via Carmagnola, in Corso Principe Oddone, angolo Corso Regina Margherita e sul ponte Mosca, sulla Dora. In Borgo San Paolo, viene invasa e saccheggiata la chiesa di San Bernardino e distrutto un magazzino militare, ospitato nei sotterranei. La polizia spara ed uccide due manifestanti, fra cui una donna. A Barriera di Milano, pressoché contemporaneamente, viene invasa e saccheggiata la Chiesa della Pace. Sul suo campanile viene issata la bandiera rossa, mentre, nella cantina del parroco, vengono trovate abbondanti scorte, di vino e di cibo, che vengono distribuite fra i manifestanti. La giornata del 24, è la più cruenta, negli scontri fra manifestanti e forze della repressione statale, ma anche quella che decide le sorti della mobilitazione popolare. Uno degli episodi più significativi è quello che vede, in Corso Regina Margherita, i carri blindati dell’esercito entrare in azione, nel tratto che va da Porta Palazzo a Corso Principe Oddone. Improvvisamente, numerose donne sbucano dai portoni di tutte le case, tagliando la strada ai blindati. Questi si fermano, per un momento, ma poi riprendono la loro marcia, con l’ordine di andare avanti ad ogni costo, anche azionando le mitragliatrici. A questo punto, le donne, si lanciano, disarmate, all’assalto dei carri blindati, aggrappandosi alle pesanti ruote, tentando di arrampicarvicisi sopra. Di fronte a tale situazione, i soldati, con i volti segnati dal sudore e dalle lacrime, non sparano e fermano i tanks. Nei giorni, 25 e successivi, verranno spenti, dalle forze della repressione statale, gli ultimi focolai di resistenza operaia e popolare. Pesante risulterà il prezzo pagato da quest’ultima, consistente in 50 morti, 200 feriti e 822 arrestati.La rivolta operaia e popolare di Torino, dell’agosto 1917, con le barricate e la lotta per le strade, costituisce, anche, un momento di rapida maturazione politica e dell’afflato emotivo, del giovane Antonio Gramsci, nel rapporto con il movimento reale dei lavoratori e delle lavoratrici che, non a caso, in quei giorni, come Segretario della sezione socialista e direttore de ” Il grido del popolo “, risponderà all’esponente riformista, Claudio Treves, che aveva definito ” errore “, la sollevazione popolare di Torino, affermando: ” Il proletariato, non vuole predicatori di esteriorità, freddi alchimisti di parole: vuole comprensione, intelligenza e simpatia, piena d’amore. “La rivolta popolare di Torino, poi chiamata ” la rivolta del pane “, rappresenterà, nella storia del movimento operaio italiano, oltreché una pagina gloriosa di lotta, condotta con spirito di sacrificio e volontà indomabile, dal proletariato torinese, con le donne in prima fila, anche una prima tappa, ancora embrionale, di formazione di quel nucleo dirigente e militante, che darà vita, negli anni successivi, alla frazione comunista nel PSI, ed infine, al Partito comunista d’Italia.
