Lettera di Liliana Frascati del PCI di Padova alle redazioni dei giornali: Il Mattino – Il Gazzettino – Il Corriere del Veneto
Oggetto: comuni antiabortisti
Ci mancava solo questa, che qualche comune erogasse un sussidio per un anno ed oltre, temporaneo quindi, alla donna incinta che rinunci ad abortire. Per inciso, si tratta di comuni governati dal centro destra.
Come si attesta la rinuncia all’aborto? Con certificazione medica oppure qualunque donna potrebbe dichiarare di astenersi dall’aborto, trovandosi incinta?
Oltre cinquant’anni sono passati dall’entrata in vigore delle legge 194 il cui titolo è emblematico: Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza.
Ma perché il centro destra non si preoccupa della prima parte della legge con lo stesso accanimento con cui cerca di reprimere la seconda, cioè l’IVG?
Per fare sì che l’aborto non sia usato come metodo di contraccezione e che rappresenti l’estremo rimedio ad una gravidanza indesiderata, bisognerebbe cominciare ad insegnare l’educazione sessuale nelle scuole a partire dalle scuole medie. Indagine ad hoc rivelano che le/i giovanissimi, giovani sono abbastanza ignare/i delle conseguenze di rapporti non protetti e sanno poco sulla contraccezione.
Pertanto, perché il centro destra che governa in molte regioni non sostiene, finanziandoli adeguatamente, i consultori familiari affinché siano aperti e funzionanti nei confronti di donne e, aggiungo, di uomini che siano in età fertile?
Perché non si fanno conoscere di più le pratiche anticoncezionali ad ambedue i sessi affinché si possa scegliere quando fare i figli e, di conseguenza, si riducano gli aborti?
In ogni caso, il diritto all’autodeterminazione delle donne è e deve rimanere intangibile perché le donne non possono essere trattate come incubatrici, situazione comune in passato, prima della legge 194.
Si vuole combattere la denatalità? Per il centrodestra si farebbe presto, basterebbe abrogare in parte e tutto la 194, salve poi ritornare agli aborti clandestini .
Si pensi, invece, a politiche attive come la cancellazione del lavoro precario, l’estensione dei congedi e dei permessi per la genitorialità, orari di lavoro flessibili per le coppie con figli, orari duttili anche dei servizi all’infanzia, nidi e scuole materne, tempo pieno per le scuole dell’obbligo, riduzione delle rette e sostegno economico alle spese scolastiche, condivisione all’interno della coppia dei lavori di cura, allineamento effettivo dei salari delle lavoratrici a quelli dei lavoratori, assegni familiari consistenti etc.
Oggi i potenziali genitori vorrebbero poter dare una vita dignitosa ai figli ed alle figlie e se le condizioni sociali e lavorative rendono sempre più difficile tale obiettivo, rinunciano a procreare. E’ una scelta egoistica e materialista? Non direi proprio se ricordiamo come venivano cresciuti i bambini e le bambine di un tempo, senza istruzione o quasi e avviati al lavoro precocemente, situazione che purtroppo si verifica anche oggi in quella parte del mondo che definiamo in via di sviluppo o sottosviluppato.
Spedita l’8 ottobre 2020 – PUBBLICATA L’11 OTTOBRE DAL GIORNALE “IL GAZZETTINO”