di Dario Ortolano – Segretario PCI Federazione Torino
Secondo un’analisi del Servizio Lavoro, Coesione e Territorio della Uil, stipendi che oscillano tra i 1400 e 1900 euro, hanno perso, in media, 560 euro netti, nei due mesi di aprile e maggio, ma se si prendono in considerazione i 5 milioni di lavoratori che, nello stesso periodo, sono finiti in cassa integrazione a zero ore, la perdita tocca i 966 euro.
In tale contesto, la Ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, è andata in tv a lanciare l’allarme ” c’è troppa povertà, l’Italia rischia un autunno caldo “, mentre il leader della Lega, Matteo
Salvini, non ha trovato di meglio che autoproclamarsi erede di Berlinguer, come difensore degli interessi dei lavoratori.
Tali dati e tali affermazioni, ci spingono a pensare che è giunto il momento di una riflessione sulla natura di questa crisi economica e sociale, sul ruolo dei comunisti, a partire dal loro bagaglio di pensiero politico ed ideologico, per esercitare un reale ruolo di avanguardia, nella lotta della classe operaia, dei lavoratori e di tutti gli sfruttati ed oppressi dal capitalismo e dall’imperialismo, per non pagare, essi, la sua crisi.
I comunisti sono stati, nel nostro Paese, la forza d’avanguardia, nella lotta per un vero cambiamento politico e sociale, che ha saputo intercettare i bisogni e gli interessi di larghissime fasce del popolo italiano, diventando così, il più grande partito comunista dell’occidente capitalistico, cioè un grande partito popolare, che partendo dalla classe operaia, nel suo ruolo storico di vettore e guida della lotta contro il capitalismo, per il socialismo, ha saputo rivolgere la propria attenzione al mondo del lavoro dipendente ed autonomo, ed anche della piccola impresa, facendo da coagulo e guida di un ampio blocco sociale antagonista, che si è espresso, nel corso degli anni, con un sempre maggiore consenso elettorale al PCI.
Questo è il punto centrale da considerare e comprendere, per ricollocare, oggi, la rinata presenza dei comunisti italiani nello scenario politico, economico e sociale del nostro Paese.
La crisi, infatti, che sta toccando le condizioni di lavoro e di vita di milioni di persone, in questo momento, coinvolge la classe operaia, i lavoratori del settore privato e della pubblica amministrazione, lavoratori autonomi, quali commercianti ed artigiani e partite IVA, che rapidamente, al di là di ogni loro precedente previsione, si trovano precipitati in condizioni di incertezza e precarietà economica, che sfocia, in molti casi, in una dimensione di nuova povertà.
Il ruolo dei comunisti, in questa fase, ma più in generale, storicamente, è di saper diventare, sulla base di chiari e significativi punti programmatici, che intercettino i bisogni reali di tali classi e ceti sociali, la espressione di una avanguardia politica, radicata nel popolo, per un vero cambiamento politico, economico, sociale e culturale.
Questa è la situazione, e questi sono, nuovamente, nel contesto dato, i nostri compiti attuali.
La Ministra dell’Interno, fa il suo mestiere, ed esprime, sostanzialmente, la sua preoccupazione per l’ordine pubblico.
Noi comunisti, che siamo l’espressione di una volontà di lotta per un ” ordine nuovo “, faremo in modo che tale ” preoccupazione “, non si tramuti in limitazioni alla libertà di manifestazione del disagio economico e sociale di milioni di persone, al loro diritto di scendere ” in piazza “, lottando per quel vero cambiamento che, solo, può dare risposte concrete ed innovative alla loro attuale condizione di lavoro e di vita.
In questo senso, e sulla base di tali connotati puntuali e specifici, ci muoviamo nel solco della grande e gloriosa tradizione storica del PCI.
Che ” altri ” sentano il bisogno di ricondursi ad essa, o peggio, giungano a ritenersene interpreti ed espressione, da un lato ci fa sorridere ironicamente, e dall’altro ci indigna, poiché la tradizione comunista italiana è così grande e gloriosa, da non tollerare ” plagi ” di alcun tipo.
Quando sentiamo le affermazioni di Salvini su Berlinguer, ci ritornano alla mente le svariate e molteplici, farneticazioni di nazisti e fascisti del secolo scorso, che, nel tentativo, a volte riuscito, di radicarsi fra i lavoratori e nel popolo, riconducevano le loro origini ideologiche a radici ” socialiste “, mentendo, ma sapendo quanto ” queste ” fossero così profondamente radicate nella coscienza popolare, citandole a sproposito, speravano di farsene interlocutori.
Quando, invece, sentiamo gli esponenti del PD, indignarsi rivendicando, in qualche modo, la loro continuità col pensiero e l’opera di Berlinguer, semplicemente pensiamo di trovarci di fronte ad un ” falso storico “, che richiede di essere confutato e smentito nella sua validità.

Enrico Berlinguer commise, anche, alcuni gravi errori politici, che portarono, poi, al venir meno di tale prospettiva.
Il primo fu quello di dare vita all’astensione politica, nel voto parlamentare, che permise la formazione di un governo monocolore democristiano, che, nell’intenzione del leader comunista, avrebbe dovuto preludere all’ingresso al governo del PCI.
Sappiamo come andarono le cose, con l’assassinio di Aldo Moro, come massima espressione della volontà delle forze reazionarie, nazionali ed internazionali, di opporsi a tale prospettiva.
Il secondo, fu quello di affermare la possibilità di costruire una vera alternativa politica, economica e sociale, ” sotto l’ombrello della NATO “, tragicamente smentita dai fatti sopracitati.
Infine, egli, di fronte alla crisi ed al suo incerto sbocco, del socialismo reale costruito in Europa, nel corso de Novecento, anziché incoraggiarne il ritorno ai principi e valori originari, ne decretò, invece, ” l’esaurimento della spinta propulsiva “, così aprendo la strada alle forze interne al Partito, che spingevano per una sua ” mutazione genetica “, che regolarmente avvenne, dopo la morte di Berlinguer, e la caduta del ” muro di Berlino “, con lo scioglimento dello stesso PCI.
Ecco perché, neanche gli attuali dirigenti del PD, possono, oggi, rivendicare la continuità col pensiero e l’opera di Enrico Berlinguer.
Gli eredi ed i continuatori della storia del PCI, oggi, in Italia, sono e restano i comunisti, che hanno intrapreso il difficile cammino di ricostruire un Partito Comunista Popolare, degno della grande vicenda politica di cui fu protagonista il PCI, anche sotto la guida di Enrico Berlinguer, al netto dei suoi errori.
Se ne facciano una ragione, i ” falsificatori della storia ” di destra e ” di sinistra “. Essa non ammette ” plagi ” e si incarica, col suo forte vento rivitalizzatore, di spazzare via le menzogne, accumulatesi nel corso del tempo.
